SUL MURO C'E' L'OMBRA DI UNA FARFALLA
Pagine 43
Datazione 1992 (agosto 1996)
Lingua palermitano
Versioni altre 1992: pp.115, maggio 1993: pp. 54, novembre ’95: pp.60. Si aprono i tuoi occhi ed è l’aurora,1996. (nel 1993 la compagnia portò lo spettacolo al Festival di Santarcangelo di Romagna, ma di questa versione non si è trovato il copione)
Personaggi voci, ombre
Note Laboratorio Femmine dell’Ombra
Analisi
Immagine fugace e nello stesso tempo piena di meraviglia quella evocata dal titolo di questo testo, per il quale l’ombra che luccica al muro è l’emanazione dell’anima. Ciò che nei testi degli anni Settanta o Ottanta era una constatazione a posteriori, in questo caso trova la sua veste essenziale nella fascinazione della parola detta, attraverso quindi la voce, da un corpo il quale pur non essendo scomparso, negato, è ricondotto a immagine esteriore, diventa quindi ombra.
Sul muro c’è l’ombra di una farfalla, diretta derivazione (immaginifica e non solo) di Femmine dell’ombra, presenta una divisione in sette quadri nominati nei quali vengono toccate alcune tra le tematiche più care della sua produzione: si leva un cantico alle fattezze di una donna, l’immagine che incanta e impaurisce è l’anima che poi muta in ombra, ombra che alla luce del giorno diventa grido. Si tratta di un idillio notturno questo, una notte si lascia esplorare, toccare; notte bara, notte che è come grotta senza entrata, dove i pensieri hanno un peso e poi volano via. La presenza della morte si avverte costante, così come quella del sangue che cola copiosamente, ma non c’è crudeltà, semmai lo stupore: zarka Ummra Iu/ sugnu assitata / i/ sangu// e po?/ e po?// u’ vinu a Luna fu/ u vinu/ meu// e uora? / e uora?
I versi sono liberi, ma si avverte una grande cura dei suoni dalle costanti ripetizioni delle singole parole che creano un’eco, alla cadenza ripetuta degli accenti: ca’à rùssa vìna àrsa ‘o scùru làssa/lìnea ca lènta cùsi a fìssa a ùcca. C’è una preghiera constante della voce che vaga negli abissi e agogna il ritrovamento dell’anima. Nell’immensità del cielo, sembra come evidenziata la solitudine di questo luogo dove tutto riecheggia. Oltre ai lunghi assolo si alternano scambi di battute tra le due entità voce e ombra, i quali più che costituire dialogo sembrano rispondere come eco l’una dell’altra, in uno sdoppiamento tematico di amore e sangue, di supplica e invocazione (L’immagine sua è un fiore sconosciuto). Tuttavia i riferimenti alla sfera sonora si ritrovano anche al livello contenutistico: l’eterno grido del cielo nel campo santo, il canto degli uccelli che è piacere e tormento, il fiato d’angoscia e le canzoni antiche cantate dai bambini. Del resto questo sembra proprio essere il proposito della poesia: Lacira u velu a parola/ e sorgi L’arhma .
Dentro una grotta vi sono due immagini, in una un uomo fa sesso con una donna morta, nell’altra la stessa donna partorisce quell’uomo. Qui ogni cosa vede il suo doppio, contrario e opposto, come disegni del paleolitico, lontani e arcani, o come immagini che si controbilanciano costantemente, sangue–neve, cielo-caverna-abisso rimangono talmente forti da rimanere incise su pietra.
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