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IL CAVALIERE SOLE

Data 1979 (gennaio 2008)

Pagine 87

Personaggi Giglio, vecchio, ubriaco e cane, padre e figlio, giovane fanciulla e Giocondo, omino, puttana, Innamorato e Vento, Cavaliere Sole, Lucia Angelo Giovanni, Salomone e Delicata, Bartolo  e Settimo, Giovanni, Creatura, Nonna.

Linguaggio Didascalie in italiano, testo in palermitano

Versioni altre Versione precedente (di cui non si ha testo, ma solo appunti manoscritti) è il testo Cuniesci Arriniesci del 1976; mentre la versione intitolata Il Cavaliere Sole ha conosciuto una prima versione nel 1979, poi nel 1988 e infine nel 2008.

Note Il cavaliere Sole è anche il titolo di un film a metà tra il riadattamento e il mocumentary, diretto da P. Scimeca  nel 2008 – Arbash produzione,  con F. Scaldati, M. Imparato, V. Albanese, S. Favarò, G. Cucinella, A. Ciurca,  R. Esposito, E. Mazzamuto.

 

 

Analisi

 

Il Cavaliere Sole inizia di notte: poco prima dell’alba, questa storia abitata da una folta e varia carrellata di personaggi comincia il quotidiano ciclo (tra amore e ebbrezza, veglia e sonno, tra cibo da cercare e caffè da bere, tra la vita e la morte) della propria esistenza. Questo testo riprende il canovaccio di  un spettacolo del 1976 Cu niesci arrinesci ispirato a sua volta alla favola di Italo Calvino Il paese dove non si muore mai. Come per altri lavori scritti in questo periodo (Manu Mancusa, Lucio, Facciamo l’amore) si notano le rime ad incastro, la presenza di molte canzoni (le cui parole sono parte integrante della drammaturgia) attesta l’ampio spazio concesso alla musica, alla tendenza al gioco tra i personaggi e caratterizzati da una leggerezza anche negli scherzi più truci o nel rapporto con la morte. Diversi i piani narrativi messi in atto: da quello che attiene alla realtà, alla dimensione magica in cui gli animali sono personificati; dalla dimensione del lavoro (che non a caso è quello del sarto, marchio di fabbrica di Scaldati) a quello dell’ozio: è il teatro dei giochi, dei dispetti, dei camuffamenti e delle munzignarie di Settimo e Bartolo. Ma è anche il girovagare suonando, il canto mentre si lavora o mentre si ricorda una persona cara. Fondamentale lo scandire dei momenti della giornata: nel notturno ricamo di vie c’è Giglio, che porta i sogn’e cristiani, un ubriaco che parla col cane, mentre alle serenate dei fidanzati risponde il signor Giocondo rimproverandoli per il sonno rubato. Appare il personaggio che dà il titolo al testo: si tratta del Cavaliere Sole, figura – non a caso –  in pigiama e cravatta in grado di capovolgere i proverbi tanto quanto le convenzioni comuni. Altre figure inseguendo il giorno: dal risveglio tranquillo dei sarti Lucia e Angelo al rituale rovesciato in cui Salomone, gallo personificato ubriaco e scansafatiche che preferisce leggere i fumetti di Mandrake anziché cantare, per obbedire al proprio dovere – chi camurria ogni matina –, viene svegliato dalla compagna Delicata, e concretamente veste i propri panni, i simboli del suo “mestiere” e cioè la cresta e la coda,. 

La componente teatrale, declinata sul versante giocoso, è uno dei cardini che verranno sciolti nel corso dell’opera, basti pensare  inizialmente a Settimo e Bartolo, alle loro continue farse nelle quali si divertono imitando versi di animali o camuffandosi in accordo reciproco o per dispetto alle fissarie raccontate la cui vittima prediletta è il Cavaliere Sole. Ma egli, che ragiona con una logica tutta sua, è colui che crede nei sogni, nei cunti, l’unico che, credendo alla menzogna raccontata, la trasformerà in verità: riuscirà a raggiungere il “suo” giardino dei desideri, il campo di lattughe e pomodori, riuscendo a tornare indenne indietro.  Lo si prende bonariamente in giro o lo si asseconda; a volte, conscio del comportamento diverso degli altri, con candore chiede comu m’è cumpujrtari?. Il Cavaliere è colui che crede nella verità del teatro, l’atto finale che ucciderà tanto Settimo quanto se stesso ovviamente non deve esser letto in chiave naturalistica, loro sono gli unici a esser rimasti soli; accogliere questa morte significa ricongiungersi agli altri.

 L’umana genti nasci juoca muori/ ingannu è un luocu dirà poco prima Angelo, e gli farà eco Lucia: l’umana genti finci finci e fincennu s’arricanusci. Il dramma mette in scena se stesso, quando con u cambiament’a scena spezza u tempu e affid’eternità. Il tempo sembra riavvolgersi e i personaggi vengono rappresentati più giovani  anche se in ciascuno di loro già è possibile intuire il carattere: il perditempo Giovanni, visto nei primi giorni di lavoro, sostituisce presto all’elenco di attrezzi del mestiere le formazioni calcistiche, il Cavaliere parla della luna, compagna proibita, trovata e infine perduta, Bartolo e Settimo giocano, Giglio, Vento e il vecchio cantano; tornando indietro nel tempo si arriva la grado zero corrispondente alla nascita, come accade ai pulcini Salomone e Delicata, l’uno già stanco l’altra un po’ ritrosa. 

Nell’infinito possibile del teatro anche la città di Palermo si trasforma, racconta Il Cavaliere Sole di come possano esser scomparsi alcuni simboli della città, dal Monte Pellegrino e dal mare di Mondello fino ai Cavalli del Politeama; tuttavia la scomparsa e la mutazione non comportano la distruzione, la Santa Rosalia, i pesci  e il teatro continuano ad esistere comunque anche senza i loro riferimenti naturali. 

 Questa risposta positiva allo sconforto la “poesia dei fanatici” che al Cavaliere riesce con naturalezza, agli altri personaggi viene molto più difficile da accettare. Ci pari ca sugnu luoccu – scemo – e ‘un’u sacciu c’o jardin’incantat’ è un cuntu? Sostiene Bartolo, rifiutandosi di credere che il luogo mitico di cui aveva sentito parlare da bambino possa essere un luogo reale; ma  il vecchio (e Scaldati, di conseguenza) ribatte: Quannu a virità criri ca fa un sònnu e u cunt’e trov’a cu ci criri, à iniziat’ ‘u viaggiu versu eterna  vita. L’eterna vita è quella che si trova nel giardino incantato dove non si muore mai, la promessa è allettante e viene inseguita con tenacia, finché, una volta inebriati dalla bellezza, non si avverte una voce che richiama all’indietro. È la voce della morte, che dolcemente invita a seguirla. Non è più la figura ingannatrice della favola di Calvino, ma un vecchio che con gentilezza invita a seguirlo: 

Bartolo: … uora m’arricojrdu i vassia, se, se… mi riojrdu ca mi vulia affirrari e iu 

scappava … vassia è a mojrti. 

Vecchio: … iu sugnu  mojrti.  

Bartolo : … m’i vinn’ ‘arricogghiri… 

Vecchio: .. se… 

Bartolo: … e unni mi pojrta.. 

Vecchio: … nno jardin’incantatu.. 

Bartolo: … unn’è c’on si muori … 

Vecchio: … se… 

Bartolo: … o,  ch’è bellu

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