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LA GATTA DI PEZZA

Data e luogo di pubblicazione Milano Ubulibri, 2008

Linguaggio palermitano e didascalie in italiano

Personaggi Benito,Vito, Vittorè, Rosa, Emma, Aurora, Aurelio, Enzo, Totuccio, Eduardo

Versioni altre 2004, 1 /1/2005, 30/05/2005, marzo 2006, settembre 2007 

Note Titolo precedente dell’opera Notte Palermitana (stesure del 2004 e 1 /1/2005)

 

 

Analisi

 

 La gatta di pezza, affonda le sue radici nei bassifondi palermitani, nella violenza familiare che però riesce sempre a sublimarsi e raggiungere quella dimora poetica appartenente a tutti i testi scaldatiani.  Racconta Melino Imparato che l’idea di questo testo venne in mente a Scaldati ascoltando le numerose urla di una famiglia che abitava accanto la loro sala prove al Centro Sociale San Saverio all’Albergheria: quel marito, ubriaco, violento spargitore di sangue e capace di apostrofare chiunque volgarmente, è il primo seme di Benito. Nella famiglia di cui è a capo – composta da moglie, cognato omosessuale, suocera e una figlia demente, muta – ciascuno spera ardentemente che possa esser fatto fuori durante la notte. Del resto, un morto (Totuccio, usuraio la cui anima è imprigionata da odio e tormento) apre e chiude il dramma così dicendo: N’oper’incompiuta è a’a natura umana; ricinu ca’ abiss’a natura umana, perversi pensier’i sangu guidanu i passi/ i manu; guvernanu i cuori. 

In quel periodo sui giornali si parlava di casi di pedofilia, di padri che violentavano i propri figli, ma il teatro non è il luogo dove riprodurre testualmente la realtà; quel livello di superficie ne nasconde un altro, la verità storica diventa il pretesto e viene capovolta per assurgere a una dimensione più ampia. In questa notte terribile non sarà tanto il sacrificio dell’innocente, Aurora, che offrendosi al carnefice riuscirà a finirlo liberando tutti gli abitanti della casa dalla sua concreta oppressione, quanto la forza della sua poesia –capace di venir fuori nel sogno, soltanto quando nessuno è in grado di ascoltarla, a rinfrancare la vita eliminando la parte più cruenta. L’unica a poter rispondere alla chiamata divina, che è voce senza nome né corpo, per svolgere il compito più ingrato, è  questa inconsapevole creatura, divin’aurora” che potrà “ aiutar’a scinnir’i sta/cruci.. . Aurora, muta come la Kattrin di Madre Courage, come lei, potrà salvare i cari solo con la propria voce;  come Ofelia (effettivamente citata in battuta a p. 46 con il riferimento ossessivo del  quadro di Millais, derivante a sua volta dall’inedito Ofelia è una dolce pupa tra i cuscini), compirà il suo sacrificio, e il prezzo da pagare sarà il “sacro fatale delirio”, la perdita dei propri appigli e cioè di quella gatta di pezza che dà il titolo al testo e che ha trovato posto sempre solo stretta al suo petto. Ma Aurora è la natura stessa: … nne so’ infinite forme ànnu dipint’a natura.. /nne so’ momenti crudeli, nne so’ dolci /attimi/ ànnu musu ‘n’mostra tutt’ ‘i me’/ ritratti; immobil’emozioni, pensier’atroci.. tuttu è/ concess’a me’ arte ammaliante; attenti,/ attenti/ attenti.

Alle coordinate spaziali (presenti non solo in didascalia) fanno eco quelle temporali: un dopoguerra pieno di macerie (i vari “sdirrubbati”, ovvero i palazzi distrutti dalle bombe, ma anche il ricordo del giocatore del Palermo, Sukrù) di morti e di americani che passano sotto banco sigarette (le palermizzate “Luk Strak”) e sui quali investire il traffico di prostituzione; la speranza è riposta nei “comuniste”, nella foto di Giuliano (Amato) apparso sul quotidiano l’Ora . La lingua di Benito, che è Scaldati e il suo contrario, strascinata e allungata nelle vocali storpiate (manciaamu, cugnietu)  è turpiloquio, zeppa di insulti sessuali (per Benito tutti sono buoni solo per fare fellatio), intrisa di sangue, di espressioni cruente – arrus’e me’ma; s’ ‘am’a ghinchiri i vacili (di sangue); pariddat’e sticchiu –. A queste si alternano  commenti che ruotano alla tavola (citata ad esempio la bustina con cui si preparava un surrogato d’aranciata, anche questa “meraviglia” del progresso), all’imminente uscire di Vittorè  (che scambia biancheria, burro cacao, specchi e gonne con la sorella); interrompono l’orrore ma nello stesso tempo lo legittimano come quotidiano V.- Aurora, ‘arrivar’ ‘amiricani; e vo’venir’ a far’a vita…/R.- ..ramm’u piattu.

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