LA NOTTE DI AGOSTINO E IL TOPO
Data e luogo di pubblicazione 2008, Ubulibri, Milano; fa parte della raccolta Il teatro dell’Albergheria, 2008, Ubulibri, Milano
Linguaggio palermitano e italiano
Personaggi Voce, Saporito Agostino, Santo, Maestà Corvo, Giardino, Mosca, Ragno, Lumacone, Lumachina, notte, uomo cane, gatta, mare, Giovannino, creatura, prima falena, seconda falena, formica, scarabeo, lucciola ,coccinella, rosa, madre, grillo, rana,, ruscello, rugiada, luna, fata, lucertola, sogno
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Analisi
C’è una voce che fin dall’inizio guida alla dimensione del sogno, da seguire con fiducia. Il testo racconta delle storie di Santo, un uomo buono.. (?) e Saporito, [che ] somiglia a un topo..” Il punto interrogativo tra parentesi lancia, non poi così tanto velatamente, un dubbio dissipato soltanto alla fine. Ai dialoghi dei due, si alternano delle scene popolate dalle voci del giardino e della notte, delle piante, di astri e di animali. Mentre le prime si rifanno a un substrato quotidiano più legato alla realtà di tutti i giorni, (gite al mare, litigi tra colleghi, bollette da pagare, liti al bar, un incidente sventato), i personaggi del giardino parlano per lo più d’amore e di natura, i toni aulici spezzati a volte da interventi ironici. Ne è esempio il primo dialogo tra Maestà che declama il proprio amore perduto per un tradimento: continuamente indeciso se colpire l’amata o uccidere se stesso, gli fa da contraltare il gracchiare del corvo che si dichiara stufo dell’infinita indecisione del primo. In questo luogo di sogno dove la morte è solo una delle possibili manifestazioni si trova l’amore come inganno seducente come è quello della mosca intrappolata dal ragno, oppure quello tronfio e bonaccione dei due innamorati, Lumacone-Lumachina, è quello misterico della gatta.
Le dinamiche tra Santo e Saporito ricordano quelle di altri personaggi come Il corto e il muto o Ettore e Ettore, tanto nell’uno quanto negli altri casi si susseguono brevi scene autoconclusive, le quali presentano un’esperienza curiosa, strana e molto spesso spiacevole, che ha sempre a che fare con le fattezze fisiche del soggetto. La differenza rispetto gli altri citati è che per gran parte del testo la spalla, Saporito, funge molto di più che semplice piano d’appoggio. A volte l’indelicatezza di questi rispetto la delicata questione riguardante la somiglianza con un topo, fa indispettire l’amico, che se ne va; In un processo per gradi anche Saporito inizia a rendersi conto della propria essenza: impietosendosi per la sorte di alcuni topi, volendo inserire perfino nel presepe la statua di uno di essi o raccontando di essersi spaventato la notte per aver visto lo spirito di un topo proprio volgendo lo sguardo allo specchio. La prima volontaria presa di coscienza sorge dalla bocca di Santo, a cui l’amico chiede quasi con una punta di amarezza: Saporito:- mi talii… Santo:- ti taliu.. Saporito:- cu sugnu Santo:- un succi. Tuttavia questo non sembra cambiare la relazione e la dinamica tra i due, tanto che un’affermazione – apparentemente innocente – da parte di Saporito, risulta al contrario molto ambigua: Saporito- aiu un succi rintra, Santu… Santo-… u sacciu…. Anche in questo caso, l’affermazione che sembrerebbe determinante viene subito riportata a un piano concreto, gettando quasi nell’imbarazzo il compagno. Nella morte – avvenuta in casa di Santo, con una Madre amante dei gatti le cui caratteristiche rimandano proprio ai felini – Saporito, vinto alla propria natura, afferma finalmente: uora sugn’ ‘un topo e ancora: conclus’ ‘u tempu, inizia a vita mia. Non si ha più paura tant’è che anche gli esseri incantati possono finalmente interagire coi personaggi, ed è tutto un continuo stupore per queste “opere buffe, opere dolorose, di fantasia, opere di struggente poesia rappresentate in questo notturno teatro. La speranza è di trovare finalmente il proprio posto, abbandonando la solitudine al punto da poter lasciarsi avvicinare senza timore dalla gatta, Santa, poiché finalmente nel giardino le loro nature non sono più contrarie l’una all’altra.
La propria essenza è marchiata a fuoco nel cuore, racconta la Notte , personificazione sulla quale si eleva la voce: “n’interminabile tempu ancor’ ‘avia a passari/ prim’e iniziare, ritr’o me corpu immensu, a palpitare a/vita; / ‘un cer’ ‘ancor’on cantu, un suspiru, un versu….
Se dunque è questa fonte di creazione e di vita, compito simile è affidato anche al disegno, come dice l’uomo-cane ‘na pagina bianca ier’o cielu miu…/ iu disegnav’ ‘a luna; / a pagina bianca,/ n’oscura e infinita notte s’è mutata . La natura muta le parole in versi, dice la gatta mentre il mare sostiene che privata dei suoi poeti la città muore.
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