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INDOVINA VENTURA

Pagine 231, fotocopie dattiloscritte; presente la schedatura scene (81) che indica oltre al titolo del quadro e ai personaggi coinvolti anche la durata.  

Linguaggio palermitano, didascalie in italiano 

Datazione 1983 (1999)

Versioni altre 1984: pp.148, 1984: pp. 184, 1999: pp. 241, 2006: pp. 129, s.d.: pp. 218, s.d.: pp. 135, s.d.: pp. 79.

Piccole lune per due clown è un testo dei primi anni 2000 che raccoglie oltre a brani di Lucio, Totò e Vicé e Libro Notturno, anche molti quadri relativi a Indovina Ventura.

Personaggi personificazioni di animali, fiori e oggetti: topo, gatte, nottola, farfalle, garofano bianco e giallo, lampioni, forbice, scopa, gabinetto padre, guasto; Isidoro, Mariarosa, Rosolino Damiano, Maria, Totò, Vicé, Arasimira, Oval, Ovalina, Rosa, Gelsomino, Romeo, Giulietta, figurine, prete, sagrestano,vecchina, vecchi, banditori, mendicanti.

Note Alcuni titoli dei quadri nel corpo testo presentano l’indicazione “marionette”, il più delle volte scritto in verticale, una lettera a rigo.

Non avendo il testo una numerazione complessiva ma solo progressiva all’interno della scena, si è scelto di citare la pagina e in seguito il nome di riferimento.

 

 

Analisi

 

La varietà delle versioni differenti elaborate nel corso di più di venti anni, fa di Indovina Ventura oggetto complesso e molto interessante, per il quale sicuramente sarebbe necessario uno studio a sé. Gli undici copioni (alcuni dei quali in verità non presentano un’uniformità per poter esser definiti tali) si distinguono sia per gli spostamenti di scena, sia per elisioni di intere scene e sia per sostituzioni di personaggi che a volte prendono sembianze animalesche, a volte nomi di fiori, a volte personaggi letterari, a volte nomi comuni. Strutturato per quadri, alcuni dei quali indipendenti e risolti in un'unica volta, per altri l’intera evoluzione drammaturgica si dipana nelle varie apparizioni, le quali contribuiscono alla costruzione di un intreccio di linee narrative. 

Vi predomina un’atmosfera piena di stupore, di luce, di colori, di scherzi, di giochi amorosi. Il riso può accompagnarsi spesso ad un lieve dispiacere: le figure marginali dei venditori ambulanti, dei piccoli operai, dei mariuoli, però non si risolvono mai con pesantezza, il ricordo della guerra riguarda più la pensione per gli invalidi o la pulizia del proprio corpo. Gli eventi spiacevoli sono accettati nella loro ineluttabilità, perfino la morte non rappresenta l’evento più drammatico, quanto la solitudine: sulu mi lassaru sulu piangerà un morto uscendo dal proprio feretro abbandonato in un giorno di pioggia. Le incombenze della vita legate per esempio alla pulizia delle scale o alla scelta di un gelato, sono affrontate con la leggerezza tipica di certi personaggi scaldatiani, per i quali ogni cosa è reversibile. L’imbroglio crudele – e assolutamente comico – del mendicante è l’espediente per riuscire a campare; le percosse inflitte a chi invade il territorio sono parte della legge non scritta della strada. Non c’è mai giudizio su queste figure a margine, ma una traslazione dalla realtà della strada a quella della scena. Dalla realtà dei quartieri sono raccolti spunti di molti personaggi, con le loro camminate o parlate particolari, le loro storie e le loro vicende: la scena del comizio di Totò e Vicé è un tipico esempio di come potessero agire i due personaggi che Scaldati conobbe subito dopo la guerra: il racconto, la furiosa litigata costantemente al rincaro di insulti e infine la richiesta di far pace: a finiemu?... Finiemul’e facemu a paci. In questo, come anche in altri testi, si parla di diversi giochi tipici da strada come Bell’e nenti, Buela, Strummula, Pass’avanti; ricchissime le nenie dei banditori, riguardanti noccioline americane e carte da gioco sfuse; attestando una propensione alla sfera del sonoro i venditori ambulanti contano tra le loro disparate mercanzie anche dal suono di violino  ai sospiri d’innamorati. Si nota la presenza attraente e respingente allo stesso tempo degli arabi: Su arabi abusivi/ si vestinu ri/ fimmini e ‘un/ si nni/ vonnu Jri .. nni vinnir’a ncantari cu menzi luni /r’anic’e /zammù. 

All’interno di queste figure al limite tra la poesia evanescente e quella terrena fanno capo alcuni riferimenti a Shakespeare, da cui Scaldati riprende qui brevi situazioni e qualche nome di personaggio, lasciando che ne rimanga poco più che una traccia. Presenti anche diverse figure dell’universo scaldatiano, oltre ai già citati Totò e Vicé, si ritrova il personaggio di Lucio in balia dell’assenza-presenza di luce, destinato a sciogliersi come cera. Del resto, anche in questo caso la luce è uno dei motivi conduttori che collega ciascun quadro, soprattutto nel primo tempo che segue maggiormente una progressiva temporalità: nel passaggio dal crepuscolo alla notte dei lampioni accesi e degli improvvisi spegnimenti, fino al buio totale e infine al giorno. In questa macrostruttura – determinata anche a vista dai personaggi che, come servi di scena comunicano la necessità di una gradazione piuttosto che di un’altra, dello spegnimento piuttosto che dell’accensione – si alternano quadri come quelli di Oval e Ovalina, fili dorati che svaniscono con il venir meno della luce, o quello in cui è direttamente la voce del Guasto a comunicare all’operaio lo stato dei fili; fino agli innumerevoli episodi nei quali la mancanza di luce determina un’azione piuttosto che un’altra: si tirano pietre ai lampioni e questi si intristiscono, Totò trova lavoro all’Enel ma al momento di riscuotere le bollette perde i soldi ed è costretto a tagliare i fili, le due vecchine avare provano a risparmiare sul carbone fino all’inverosimile. La mancanza di luce interrompe l’azione ma è pur vero che certi cosi o scur’I viremu, non solo le azioni ma anche i pensieri, al buio ricinu vuci cosi curiusi. La luce compare adagio, è la voce di chi ha perso il corpo, l’anima. Questo mondo appena malinconico si irradia di colori e di pioggia, si riempie di suoni di trilli del telefono e di bande rumorose ( per i quali Scaldati predispone una pagina che è immagine, scrivendo una lettera per rigo, incrociando segni che diventano figure).

Una figura rimane poco più che accennata: si tratta di Arasimira ( che in altre versioni viene chiamata anche Arasimir o Arasimiro), figura super-partes che annuncia la buona e la cattiva sorte, è a lei che si rivolgono le figurine per chiedere e uora chi faciemu? e sentirsi rispondere  a scena nuova . Anche altrove sono presenti alcune indicazioni meta teatrali, tentativi inutili di porre fine a qualcosa che non può averne. Durante il primo quadro le marionette di un topo e di alcune gatte sono il ponte che collega gli spettatori al mondo fantastico della scena: In un Palchetto, un gruppo di gatte aspetta che inizi Lo spettacolo.. In ritardo viene un topo. Topo:- permesso permesso permesso.. quannu cumincianu? / Gatte:- aspittavan’a tia / Topo:-Menu Mali / Gatte:- silenziu!. A fine testo compariranno di nuovo le gatte, intente a svegliare il topo; il sogno è finito, si sente ancora un’eco di quanto avvenuto nelle note di una banda che suona.

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