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PUPA REGINA OPERE DI FANGO

Pagine da p. 11 a p. 138

Data, luogo e casa di pubblicazione 2005, Ubulibri, Milano 

Linguaggio palermitano, traduzione italiana a fronte

Versioni altre  ottobre 2002, 50 pp. 12 ottobre 2002, 11 pp. maggio 2003

Personaggi  pupa, regina, creatura

 

 

Analisi

 

Pupa e Regina, anime esangui accostate davanti a un fuoco e a una pozza d’acqua, (elementi spesso citati in battuta), ripercorrono la loro vita come se ne approntassero la rappresentazione; i termini che hanno a che fare con questo campo semantico sono infatti spesso ripetuti, la scena racchiude, la scena mostra, la scena è riflessa ad uno specchio, è spenta, opaca; in una dimensione quasi universale della loro vita ci si chiede come inizi la rappresentazione del mondo anche quando si riferisca all’ultima scena del loro universo triste. I loro corpi, fatti di fango e di sangue sono come cristallizzati in un tempo che non è né dei vivi né ancora pienamente dei morti, ma nel quale si avverte un senso di attesa che porta all’osservazione. E tuttavia non si può non considerare come tutti i verbi siano declinati all’imperfetto: conciliava, univano, sublimava, donavano sfiorava; come afferma Regina si avverte la sensazione ca tutt’/avviene ‘on lontanu luocu. Allora si ripercorrono i ricordi, i sentimenti, mentre scorre ancora a terra un fluido rosso, sangue e fuoco al tempo stesso. Quello che le circonda, traspare dalle loro parole, è un universo nudo e desolato, universo estinto come il loro corpo, non coperto ma composto di fango e privato oramai dei sentimenti, nel quale è rimasta soltanto la percezione, il ricordo dell’amore condiviso; un luogo dove perfino le lucciole sono svanite. Il corpo è morto, ma sembra sanguinare ancora, come Prometeo le due figure sono condannate ad un’eterna sofferenza in attesa di una improbabile lontana salvezza. Unico sollievo in questo limbo, è la compagnia dell’altra, amata, ancora visione incantata; appare allora il verbo presente, con la richiesta: vasa, passa, mostra, inonda, cerca, lecca; in una supplica sempre più disperata, perché oramai impossibilitata al godimento, ma solo al rimpianto; forse non si esiste già più, forse, anzi si è state proprio la causa di questa fine (come si scoprirà solo alla conclusione). Eppure l’amore, paragonato agli elementi della natura non viene mai meno, tanto che le battute dell’una fanno eco a quelle dell’altra, ciascuna generosa donatrice d’ombre, di suoni, di mattine. Poco più che ombre Pupa e Regina hanno concluso il loro tempo, ciò che rimane, che sboccia dai loro corpi, sono le parole, il resto è oscurità divorante che annienta i sentimenti, inombra gli occhi e avvolge i passi; tenebra che è anima degli assassini e cuore dei traditori. Eppure in loro si avverte una concretezza disarmante legata alla soddisfazione di un bisogno primario che se da una parte abbassa il discorso, dall’altra denuncia la vita di un corpo che deve espellere urina. Allora arriva la distruzione e la devastazione il desiderio di frantumare le parole o di mutare in polvere gli affanni dell’altra. Ma all’oscurità più profonda fa seguito sempre, per armonioso contrappunto, lo spuntare dell’alba, e con essa la non esistenza, l’esser fatti soltanto di un fango che crea la vita con uno sputo ma è al contempo maceria. L’anima vista involare e la sepoltura concessa, unica per entrambe, probabilmente solo di qualche parte (poiché lasciato il resto ’n pred’ ‘a can’e corvi../ lacrime, sopr’o so’ / corpu ‘un su cuncessi rimanda ad Antigone, scavata a viva petra. Ma come presagio di un miracolo (ingannatore?) ancora accade qualcosa ultimo moment’ esiste nelle loro incerte esistenze: appare una rosa nell’acqua, e con essa l’immagine dei loro visi; ci si tocca, e si continua a constatare il gelo del contatto, la rosa appassisce, le stelle muoiono; è solo l’immagine dei loro corpi che ospita l’acqua. Eppure è questa creazione prodigiosa che perdura nel tempo questa poiché è proprio nel fango che sono contenuti corpo e pensieri dell’amata compagna, i tradimenti, i desideri e i silenzi, in un elenco nel quale l’anafora rafforza sempre di più la grandezza di questo materiale. Le macerie diventano grazia della natura, ecco il riscatto .

Quella che loro ricordano è una vita segretament’amata… […] priva e sociali convenzioni e doveri, priva r’ogni opprimente e triste/ responsabilità. Non a caso, solo nella parte finale del testo si viene a scoprire come Pupa e Regina in vita fossero prostitute, e causa della loro morte fu l’accoltellamento da parte dell’amante di una delle due. Il loro esserci è attesa interminabile che il muro di fitta tenebra apra la finestra facendo inondare di luce il sentiero; in questa armonia rotta tutto è già accaduto, come sottolinea il tempo al passato prossimo, tutto è successo e quel che ne vediamo è solo ombra della storia, esse sono Opere di fango in attesa del crollo, dell’incubo o, al contrario, di un soffio divino, fosse anche (biblica memoria della genesi) un semplice sputo. Non serve a niente la richiesta rituale di abbraccio e di contatto, ciò che salva è la visione di un’”esile creatura” ingemmata di raggi luminosi pronti a dissipare la tenebra. Il corpo è stanco, coi piedi insanguinanti cammina a stento dopo aver attraversato tutte le nefandezze del mondo; ora è giunto alla fine del suo viaggio, candido e triste questo angelo dalle ali spiumate,compie il miracolo, che avviene tramite l’unico mezzo salvifico, la parola; ma è una parola che non spiega, una parola che solo può esser detta “u tempu s’è conclusu, opere/ i fangu; intere pene / vostre sunn’espiate.

Note In una versione precedente, non edita, viene riportato in apertura come Pupa e Regina siano “donne pazze e, perciò, un po’ streghe.. sorrette unicamente dall’istinto, da un impulso vitale.. alla radice dell’essere femmine”. 

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